Recensione Album
1980. Ac-Dc - ( Back In Black ) by Marco Fanciulli
In campo hard rock gli AC/DC hanno ricreato il genere gettando un ponte fra il prima e il dopo, ove con prima si intende la lontana primordialità della materia rock nel Grande Magistero del blues.
Alla metà degli anni settanta il panorama musicale era diventato asfittico. Da una parte c'era un prog che stava implorando trasformandosi nella maniera e affondando sempre di più nella sua magniloquenza.
Dall'altra c'erano i grandi nomi dell'hard rock come i Deep Purple, i Led Zeppelin e i Black Sabbath che avevano esaurito la carica propulsiva dei tempi d'ora ed erano in una fase di disorientamento; i Deep Purple si erano già smembrati e i singoli componenti avevano dato vita ai loro progetti, le filiazioni della band madre che si chiamarono Ian Gillan Band, Rainbow e Whitesnake; i Led Zeppelin nonostante l'ottimo Phisical Graffitti erano già diventati storia e comunque nonostante lo splendido doppio album la crisi all'interno della band stava già dando i suoi segnali; i Black Sabbath avevano pubblicato il poco ispirato Sabotage e anche loro erano in una fase di disorientamento che di lì a qualche anno sfocerà dell'abbandono di Ozzy Osbourne.
Ma se i grandi nomi della prima ondata dell'hard rock erano in crisi alla metà dei seventies venne alla ribalta una seconda ondata di compagini hard rock che hanno dato nuova linfa al genere, nonostante poi il punk abbia accusato quest'ultimo di vetustà.
Questa seconda ondata faceva capo a quattro band, ognuna delle quali proveniva da uno dei tre poli del mondo anglosassone: dall'Inghilterra provenivano i Judas Priest, dall'America i Kiss e gli Aerosmith, e dall'Australia gli AC/DC, ognuna con le sue proprie caratteristiche.
Queste nuove band ebbero il merito di svecchiare il linguaggio hard rock primi settanta di Led Zeppelin e Deep Purple riportandolo alla sua primitiva ortodossia e sgravandolo da certe derive prog (soprattutto i Deep Purple) che lo caratterizzavano.
In definitiva queste band fecero pulizia delle incrostazioni e delle impolverature che avevano ricoperto l'hard rock alla metà dei settanta e riportarono il genere alla sua autentica e originaria freschezza.
Ma la band che più di tutte ha rifondato l'hard rock partendo dalle sue fondamenta proveniva dalla lontana Australia e porta la sigla di AC/DC. Ho detto rifondato e non ridefinito perché la loro è stata un'operazione radicale di rifondazione di un genere andando a ripescare la sua lontana sorgente.
Gli AC/DC compresero che l'hard rock è prima di tutto vibrazione, energia, primordialità, istinto, naturalezza, rabbia, ribellione e la prima cosa che fecero è una tabula rasa di tutti gli orpelli che con il genere avevano poco o nulla a che fare: sconfinamenti nel prog, derive intellettualistiche, lunghe suite, virtuosismi fini a loro stessi.
Per ricreare ex novo il genere non servono commistioni o nuove sperimentazioni ma una soluzione che è l'uovo di Colombo: recuperare le origini blues e rhythm and blues e creare nell'hard rock una continuità con il linguaggio blues di Robert Johnson.
Un nuovo suono che profuma intensamente di antico, che scava nelle radici per rigenerarsi ex novo nella sua genuina autenticità.
Non è esatto dire che gli AC/DC sono stati i creatori dell'heavy metal, quest'assunto può valere per una band come i Judas Priest; gli AC/DC con l'estetica metal non hanno mai avuto a che fare, anzi Angus Young e soci nelle loro interviste ebbero a dire su certo heavy metal che si era allontanato dalle sue radici hard rock.
Gli AC/DC sono la band hard rock per definizione, colei che ha ricreato la continuità del blues nell'hard rock, riportando il primo nell'alveo del secondo.
Un'altra aberrazione è l'assunto che una volta sentito un album degli AC/DC li si hanno sentiti tutti; questa è un'uscita di chi non ha capito chi sono Angus Young & Co., una potente macchina hard rock che si rigenera ad ogni album, di più ad ogni brano, perché è la forza di una formula semplice e potente che per assioma è immarcescibile ed è il risultato di passione, stoicismo ed epicureismo: la passione verso la musica e verso l'identificazione totale con il pubblico, lo stoicismo nel senso di una stoica resilienza e sopportazione di tour dal vivo massacranti e di continuo esercizio e prove in studio, l'epicureismo nel senso che con le loro esibizioni dal vivo e i loro leggendari riff di chitarra trasmisero un senso di positiva euforia che si risolveva in un carpe diem da vivere con pienezza edonistica di stampo epicureo.
Certo dopo il botto epocale di Back In Black, oggetto di questa recensione, ci fu un inaridimento della vena creativa, fatto però contingente al mutamento dei tempi che non erano più i tempi d'oro della seconda metà dei settanta ma gli anni ottanta che vedevano le nuove leve dell'heavy metal da una parte e gli idoli new romantic protagonisti delle classifiche con il loro synth-pop degenere, cascame della new wave.
Alla rigenerazione dell'hard rock contribuirono anche altri due fattori a rendere significativo un gruppo come gli AC/DC.
Il primo è un fattore geografico: il fatto che provenivano da dall'Australia che allora come oggi era la periferia dell'impero occidentale e precisamente del Commonwealth.
L'Australia è un paese molto diverso sia dall'Inghilterra, sia dagli Stati Uniti. Non deve fare i conti con una secolare storia europea come gli inglesi e nemmeno con la presenza ingombrante del puritanesimo che tanto permea la società americana.
È una terra di nuova colonizzazione.
Quando l'ammiraglio Cook inaugurò la penetrazione britannica in quella che era denominata "terra australis" gli Stati Uniti erano già una nazione indipendente e L'Australia era ancora una terra selvaggia popolata dagli aborigeni.
Talmente remota che la corona britannica la utilizzò come colonia penale, talmente selvaggia e inospitale che ancora oggi il suo vasto centro ha una bassissima densità di popolazione.
Ma spesso e volentieri è proprio dalla periferia del mondo che arrivano interessanti intuizioni, per un discorso che oserei definire alchemico-fisiologico: chi si ritrova lontano dai centri di potere è anche meno influenzato dai fermenti che circolano in detto centri e li riceve di riflesso abitando in una realtà più provinciale e meno dispersiva. E questa può essere la scaturigine di fenomeni musicali e artistico propri e originali, avulsi dai fermenti che vanno per la maggiore.
Nel caso degli AC/DC Australia chiama Mississippi e la sensibilità nei confronti della matrice blues del rock, per il fatto che si è lontani dal centro geografico di quella matrice, è riuscita in questo caso a essere più significativa di chi nasce è cresce nella madrepatria del blues stesso; da qui alla rifondazione dell'hard rock sul recupero delle radici blues degli AC/DC il passo è breve.
Poco importa se i membri della band erano tutti di origine scozzese, è il luogo dive uno nasce e cresce che forgia l'Heimat del singolo.
Un secondo importante fattore non strettamente musicale è l'immagine: gli AC/DC si presentarono sul palco e sulle copertine dei dischi con un look essenziale: tutti ricordiamo le celebri esibizioni di Angus Young in divisa blu da scolaretto di college, pantaloni corti, cravattino e cappellino da baseball, un'apologia dello studente discolo e svogliato, del Franti di deamicisiana memoria.
A ciò bisogna aggiungere jeans strappati, canotte, magliette di ultima mano e scarpe da tennis sgangherate.
Un immagine grezza e proletaria (gli AC/DC sono la band hard rock proletaria per eccellenza), uno spaccato di gioventù proveniente dalla suburbua urbana che contrastava con la leziosità del prog anche nel look e con i lustrini e le paillettes del glam.
Con questo look Angus Young e soci capitano al momento giusto: c'era un gran bisogno di svecchiare la materia rock non solo con una proposta musicale immediata ma anche con un look adatto di "ragazzacci" di periferia.
Ma non solo: con il loro.look essenziale gli AC/DC fecero anche piazza pulita di certo machismo che aleggiava attorno alle rock star, cin esibizione di bicipiti in bella vista, borchie e abiti in pelle nera con esibizione di pacco in.mezzo alle gambe: tutte cose inutili! Quello che contano sono musica ed energia. È alla droga si preferiscono whiskey e alcolici.
Scelta azzeccata e radicale anche nella stessa ragione sociale: AC/DC sta per "alternate current/direct current" una dichiarazione di impatto sulla shock elettrico della band.
Back in Back esce in un momento traumatico della band segnato dalla morte di Bon Scott, il primo cantante della band deceduto per un'intossicazione di alcolici. I fratelli Angus e Stevie Young trovarono un valido sostituto dell'inglese Brian Johnson.
Con Brian Johnson gli AC/DC inaugurarono il nuovo corso incidendo il fondamentale ed epocale Back in Black.
La copertina dell'album è completamente nera, in omaggio al defunto Bon Scott.
Il disco segna anche nei contenuti l'inizio di una nuova era e il bisogno di andare avanti e di superare il trauma per la perdita di Bon Scott.
La voce di Brian Johnson è azzeccata perchė molto simile a quella di Bon Scott e a rendere ancora più celebre l'album è stato l'espediente di installare un'enorme campana durante il tour di supporto al disco con il logo AC/DC, che riproponeva dal vivo i famosi rintocchi che aprono la prima traccia dell'album.
Ora l'analisi per ogni singolo brano.
Hells Bells. Cupi rintocchi di campana, un riff di chitarra che cresce lento e progressivo a guisa di marcia funebre: le accordate condoglianze allo scomparso Bon Scott. Poi prende corpo un granitico hard rock; il riassunto di tutto il periodo Bon Scott è già in questo roccioso e drammatico hard rock che omaggia sia il blues delle origini sia il rock'n'roll di Little Richard e il rock'n'boogie di Bo Diddley e li spinge sul pedale della distorsione hard cin un Brian Johnson urlatore a fare il verso a Robert Plant e a continuare la tradizione Bon Scott. Brano quintessenziale dell'hard rock.
Shoot To Thrill. La monumentaltà del brano precedente cede il posto a questo galop hard rock di quelli che fanno spingere l'acceleratore a tavoletta. Un brano di impostazione boogie hard che corre come un treno con trascinanti riff e pestoni di batteria. Il bridge è una scarnificazione di batteria pestata con foga e tocchi di chitarra alla Who che poi mutano in graffiare hard è puro distillato di anima hard rock, prima della rincorsa e dell'esplosione finale.
What Do You Do for Money Honey. Un bel granitico hard blues virato boogie che trascina con la forza di un panzer, grintoso e regolate nella scansione ritmica con un portentoso bridge di furibondi riff di chitarra e il breve ritornello che è una saetta a cielo sereno.
Giving The Dog a Bone. Su una base rhythm and blues si imbastisce questo dell'hard rock con chitarre affilate con l'arrotino e un controcanto da brivido. Uno di quei brani che fanno salire l'adrenalina a mille grazie a questo mulinello di riff hard.
Let Me Put My Love Into You. Un altro solido brano che presenta sincopi midtempo hard sostenute su un bell'impianto soul-blues. Il ritornello si adagia su un epico stile di ballad hard con belle chitarre affilate, le quali rompono le righe nel bridge e si esibiscono in riff infuocati come non mai. Brano dell'epica quasi wagneriana.
Back in Black. La title track è un roccioso hard boogie con un Brian Johnson che declama all'impazzata parole infilate l'una dietro l'altra in piena furia. Pesanti e rocciosi riff di chitarra fanno da contorno per poi esibirsi in un assolo nel bridge di quelli memorabili. La quintessenza boogie dell'hard rock è in queste note.
You Shook Me All Night Long. Con questo brano l'hard rock degli AC/DC passa in radio e finisce sugli spalti degli stadi. Uno stemperamento scanzonato delle dure spugolosità hard ed ecco questo trascinante anthem di quelli da cantare a squarciagola ovunque si sia; una potenza coinvolgente in un brano dalla semplicità disarmante; un pezzo che è il significato genuino dell'estetica rock'n'roll e della vita selvaggia in nome del rock'n'roll.
Have a Drink on Me. Con un intro che omaggia il delta blues parte questo granitico hard'n'boogie con coro da stadio nel ritornello. Duro e puro fino al midollo, con la sua bella scarica di pesanti riff è il cantato che è un urlato pieno di rabbia pura a omaggiare quella che è la sana vita del rocker davanti a una pinta di whiskey.
Shake a Leg. Inizio a botte di cadenzato colpi di chitarra e rintocchi di batteria e poi come uno schiacciasassi parte un potente hard rock'n'roll che corre come un treno lungo binari di vibranti riff di chitarra ledzeppeliniana ma con un acrobatico rifferama hard blues. Chitarre infuocate come non mai nel bridge.
Fonte ( Marco Fanciulli )